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Gli israeliani contro Twitter: “Aiuta i terroristi”

MILANO – Twitter aiuta i terroristi? La domanda se la dovrà porre un giudice, se il sito di microblogging non dovesse accogliere le richieste che gli arrivano da Tel Aviv. Shurat HaDin, un centro legale israeliano, dà al social network da 140 caratteri, pochi giorni prima di portare in Tribunale i vertici dell’azienda se questi non cancellano tutti gli account riconducibili alle organizzazioni terroristiche. Con il rischio che, se il giudice dovesse dare ragione agl’israeliani, i capi del social network potrebbero finire alla sbarra per aver offerto supporto logistico ai terroristi. (continua su corriere.it)

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La proposta choc di Netanyahu: dividere in due Beit Shemesh

Dividere in due la città. Di qua i religiosi e i laici. Di là gli zeloti ultraortodossi. In mezzo, chissà. Un muro, magari. O una serie di checkpoint. Perché il sobborgo di Beit Shemesh non è più solo un problema di costume. Ma anche una questione di ordine pubblico. Da risolvere subito. Prima che il virus dell’intolleranza religiosa si estenda al resto del Paese. Prima che i 25 mila appartamenti in costruzione e destinati agli ultraortodossi renda la situazione esplosiva. Prima che distrugga Israele.

In una riunione che doveva restare riservata, ma che puntualmente è comparsa con tanto di dettagli sui quotidiani locali, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha proposto ai colleghi di coalizione del Likud (il suo partito) e dello Shas (formazione religiosa) la più radicale delle soluzioni: dividere in due Beit Shemesh. Non è – non sarebbe – la soluzione definitiva. Ma, viste le tensioni nell’area, si tratterebbe di quella più adeguata al problema.

Due bambini si coprono il volto per non farsi fotografare in una via di Beit Shemesh (foto di Oded Balilty / Ap)

Dai partiti di opposizione fioccano i no. Da quelli di maggioranza arriva più di una presa di distanza dalla proposta. Ma la soluzione radicale del premier israeliano aleggia ormai da qualche ora. «Non possiamo arrenderci di fronte ai fatti di Beit Shemesh», ha detto Miri Regev, deputato del Likud, il partito di Netanyahu. Ma ha anche aggiunto che «potremmo non avere altra strada da percorrere che quella di dividere in due la città, dove religiosi e laici possano vivere in tranquillità nel loro spazio, e gli ebrei ultraortodossi possano condurre la loro vita con le loro regole entro confini precisi».

Intanto, a dimostrazione che Beit Shemesh è solo un sintomo, arriva la notizia – riportata dal quotidiano Ha’aretz – della recita di Hannukkah a Petah Tikva, a est di Tel Aviv. Scrive il giornale che alcuni genitori si sono lamentati per aver dovuto assistere a uno spettacolo al centro culturale della città dove i posti erano divisi: uomini da una parte, donne dall’altra. Ma l’ufficio del sindaco ha tagliato corto: «Sono anni che alcuni appuntamenti culturali prevedono la distribuzione esatta dei posti».

© Leonard Berberi

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Al Parlamento israeliano va di moda la segregazione sessuale

IL VIDEO DELL’ASSOCIATED PRESS

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Se anche al Parlamento israeliano va di moda la segregazione sessuale

La Knesset, il parlamento israeliano

Come minimo, prendono le distanze. Poi, visto che in questi casi si fa a gara a chi si allontana di più, è tutto un «nel nostro Paese queste cose non sono tollerate» e «bisogna condannare in modo assoluto». Peccato che poi, nel bel mezzo del polverone contro gli zeloti di Beit Shemesh e le loro politiche sessiste, ecco, peccato che poi si scopre che un pizzico di discriminazione nei confronti delle donne c’è pure nel cuore del Parlamento israeliano. Si chiaro: questo è nulla in confronto ai marciapiedi per soli uomini e al codice di abbigliamento imposto alle donne. Ma è comunque qualcosa. Tanto da spingere qualcuno a tirare in ballo il vecchio detto – religioso, ovviamente – «chi è senza peccato scagli la prima pietra».

E allora. Succede che alla Knesset, nemmeno tanto di nascosto, le donne siano state estromesse da tutte le manifestazioni canore e le celebrazioni che si svolgono all’interno della struttura. Motivo? «C’è un una regola non scritta, introdotta un po’ di tempo fa, che non prevede più le donne alle cerimonie ufficiali», dicono le gole profonde del Parlamento israeliano al quotidiano Ynet. E spiegano che la presenza femminile viene evitata «per non urtare la sensibilità dei deputati ebrei ultraortodossi». Quasi tutti fanno parte della maggioranza di governo. Quasi tutti sono membri dei partiti che sostengono il premier Benjamin Netanyahu.

Il «protocollo», dicevamo. Ecco, il «protocollo» non viene sempre rispettato, a dire il vero. Ma nelle grandi manifestazioni – come, per esempio, l’inaugurazione dei nuovi lavori parlamentari – le donne vengono relegate in ruoli meno visibili. «Di solito, la prassi è questa», continuano ancora le fonti: «quando in Aula è prevista la presenza di deputati e ministri ultrareligiosi cerchiamo di coinvolgere solo gli uomini».

© Leonard Berberi

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