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Il poliziotto israeliano e quella pistola contro il reporter

Proteste a Gerusalemme Est (foto di Ammar Awad/Reuters)

La confusione durante le proteste a Gerusalemme Est (foto di Ammar Awad/Reuters)

Giorno di protesta a Gerusalemme Est. Come ogni venerdì. Come sempre. Decine di palestinesi scendono in strada. Urlano slogan contro Israele. Lanciano pietre contro le forze dell’ordine dello Stato ebraico. Vengono arrestati.

A gettare benzina sul fuoco, secondo gli abitanti della Cisgiordania, è stata la decisione delle autorità israeliane di fissare un limite d’età per gli uomini palestinesi che vogliono entrare nella Città Vecchia: nella Spianata delle Moschee può metterci piede soltanto chi ha più di 50 anni. Tutti gli altri fuori, se ne stiano a casa.

Il poliziotto israeliano con la pistola puntata contro il reporter dell'Afp (foto di Ahmad Gharabli/Afp)

Il poliziotto israeliano con la pistola puntata contro il reporter dell’Afp (foto di Ahmad Gharabli/Afp)

Poi però succede che – forse nella confusione, forse nella tensione – c’è questo poliziotto israeliano, con il volto coperto, che punta la sua pistola. Non contro i palestinesi. Ma contro i fotografi. Contro uno, in particolare: Ahmad Gharabli, reporter dell’agenzia France Press. Che si ritrova a dover «rispondere» a quella minaccia con l’unico strumento a disposizione: una macchina fotografica. La sua. Quella che usa per lavoro.

Gharabli è visibilmente spaventato da quel gesto. Ma non si ferma. Immortala quell’istante in una foto formato Jpeg. La inserisce nel circuito internazionale delle immagini. Insieme ad altre della stessa scena, ma da un’angolazione diversa. Il resto è sui social media. Dove, tra un «vergogna» e un «pazzesco», decine di reporter che ogni giorno seguono le vicende israelo-palestinesi si chiedono se non sia il caso di fermarsi e chiedere di darsi una calmata. Per il bene di tutti.

© Leonard Berberi

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Ecco l’unico uomo che decide chi si può sposare in Israele con rito religioso

Il rabbino Itamar Tubul, 35 anni (foto Jta)

Il rabbino Itamar Tubul, 35 anni (foto Jta)

Itamar Tubul è un signore di 35 anni, alto, magro, con la voce bassa e monocorde. Si porta sempre gli occhiali da vista, veste sempre elegante ed è praticamente sconosciuto. Se non fosse per un piccolo particolare: è il rabbino, l’unico per ora, che decide chi si può sposare in Israele con rito religioso e chi no. Siano essi residenti nello Stato ebraico o no.

Itamar di fatto è il responsabile dell’ufficio anagrafe del Gran Rabbinato. Tutte le richieste di matrimonio passano sulla sua scrivania. Lui ha potere di vita o morte sulle coppie che vogliono giurare amore eterno davanti a un rabbino. Un ruolo di grande responsabilità che ultimamente dagli Usa vorrebbero in qualche modo attenuare.

Ma prima facciamo un passo indietro. Per sposarsi con rito religioso tutti devono provare di avere forti legami con l’Ebraismo. Questo è facile per chi vive in Israele. Un po’ meno per chi è nato e ha sempre vissuto fuori: negli Usa, soprattutto, ma anche in Francia, in Spagna, in Italia. Questi ultimi devono farsi rilasciare un documento dall’autorità religiosa locale che certifica l’«ebraicità» delle persone o fare una copia dell’atto di matrimonio dei genitori in cui si attesta che è stato celebrato con rito religioso. Il documento, poi, deve essere spedito a Gerusalemme per essere convalidato da un sol uomo, Itamar Tubul, appunto.

Se il rabbino-funzionario non dà il via libera il matrimonio, in Terra Santa, non si può fare. «Ma in questo modo dipende tutto dal capriccio di una sola persona, che sarà pur brava, ma che lavora in condizioni di potere assoluto», ha polemizzato attraverso la Jewish Telegraphic Agency il rabbino Seth Farber. Farber è anche il fondatore di Itim, organizzazione israeliana che si occupa di aiutare le coppie di fidanzati a compilare i fogli da inviare al Gran Rabbinato d’Israele.

Scene da un matrimonio celebrato con rito religioso ebraico

Scene da un matrimonio celebrato con rito religioso ebraico

Da alcune settimane il ruolo di Itamar Tubul è messo fortemente in discussione. Soprattutto dopo aver scatenato un incidente diplomatico tra l’autorità religiosa americana e quella centrale. Lo scorso ottobre Tubul ha respinto il documento di un rabbino statunitense in cui si attestava l’«ebraicità» della coppia che si voleva sposare. «Ma come si permette questo signore di mettere in discussione la mia credibilità?», ha sbottato Avi Weiss, un famoso rabbino ultraortodosso liberale della comunità di New York che s’è trovato il suo documento smentito da Tubul. «Sono anni che scrivo questi documenti e mai nessuno s’è mai sognato di dire che quello che avevo scritto non era vero».

Tubul non si è scomposto. Ha spiegato che il suo lavoro di verifica si basa su «una rete di contatti personali» nel Paese di riferimento. «Appena ricevo la lettera che attesta il legame con l’Ebraismo della coppia ne discuto con i giudici-rabbini nominati in quella zona dall’autorità centrale: se nessuno di loro conosce il religioso che ha scritto il documento o hanno dubbi sull’autore, allora io mi rivolgo ai colleghi locali. Dopo aver sentito quello che sanno e quello che hanno da dire – ma senza basarmi mai una sola persona – decido se accettare o rigettare. Dopo un lungo giro di consultazioni sono arrivato alla conclusione che è il rabbino Avi Weiss ad avere un problema: non mi sembra sia un seguace fedele della tradizione ebraica».

Il rabbino di New York a quel punto s’è preso un avvocato. E lo scorso gennaio ha ricevuto una lettera in cui il Gran Rabbinato smentisce Tubul e dà l’ok a Weiss. Che, sorridendo, ha spiegato: «Finalmente è stata cancellata un’ingiustizia». E vissero tutti felici e contenti. Forse.

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Bibi, Angela e quel riflesso che fa impazzire la Rete

(foto di Marc Israel Sellem/Jerusalem Post)

(foto di Marc Israel Sellem/Jerusalem Post)

La foto è la solita: c’è un leader di un Paese con un altro leader di Paese che s’incontrano, parlano, discutono, sorridono, indicano a destra e a sinistra, si mettono in posa per gli scatti di rito. Quelli, per intenderci, che poi finiscono nel flusso delle agenzie stampa e negli album ufficiali dei rispettivi governi.

Poi ci sono foto realizzate nel luogo giusto, ma al momento sbagliato. Come questa che vede sopra – scattata da Marc Israel Sellem, fotogiornalista del quotidiano israeliano in lingua inglese Jerusalem Post – dove la posizione del braccio sinistro del premier Benjamin Netanyahu e il riflesso sul viso della cancelliera tedesca Angela Merkel, in visita nello Stato ebraico, finiscono per dare un risultato particolare. E infatti lo scatto, condiviso da migliaia di persone e commentato da centinaia di utenti del web, sta letteralmente facendo il giro della Rete.

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