attualità

In Israele va di scena l’estate del malcontento

Prima i latticini. Poi i gelati. Quindi gli immobili. E alla fine i passeggini. Il premier israeliano rischia di essere travolto dallo yogurt. E dal cornetto. E dal mattone. E dai bambini. Perché mai come in quest’ultimo mese, le esigenze di tutte le classi sociali dello Stato ebraico si sono succedute, sovrapposte e rinforzate.

Chiedetelo agli oltre trentamila consumatori che, grazie anche a Facebook, hanno sconfitto – per ora – i grandi produttori di latticini costringendoli a ridurre i prezzi della loro merce. Chiedetelo a quei cittadini gerosolimitani che per protesta (e un po’ per risparmiare) attraversano ogni giorno la linea che porta a Gerusalemme Est (a maggioranza araba) solo per comprare il gelato a un prezzo «più ragionevole». Chiedetelo ai giovani che a Tel Aviv e Haifa da giorni stanno dormendo in delle tendopoli allestite nei quartieri più ricchi del Paese per protestare contro il caro-affitti e il caro-mattone. Chiedetelo, poi, a quei genitori che, stanchi di pagare rette per gli asili fuori mercato e pannolini «manco fosse caviale», sono scesi in strada ieri a Tel Aviv, Rehovot, Kfar Saba, Haifa, Ashdod e Beersheba per far sentire la loro voce. Bambini dentro, palloncini gialli svolazzanti da ogni carrozzina.

È l’estate del malcontento. L’estate del «chi se ne importa del mare, abbiamo problemi grossi da risolvere». L’estate del «riprendiamoci in mano il presente e il futuro di questo Paese». E al diavolo i commenti, le analisi, gli approfondimenti. Al diavolo pure le promesse di «Bibi» Netanyahu. Qui urge prender provvedimenti. Oggi. Non domani.

Ecco, a proposito delle proteste di ieri (foto sopra). Ci hanno pensato poco a trovare un nome: l’hanno chiamata «protesta dei passeggini». Dopo gli «Indignados» made-in-Israel, la «rivoluzione» popolare e pacifica viaggia su quattro piccole ruote. «Non possiamo più permetterci di spendere così tanto per crescere un figlio», hanno urlato migliaia di persone per le vie di Tel Aviv e di metà di Paese. E ancora: «Non possiamo mica indebitarci per comprare i pannolini per il nostro piccolo o per farlo andare all’asilo».

«Bibi go home!», hanno urlato in tanti. «Bibi vai a casa!», hanno detto all’uomo coi capelli tutti bianchi. E lui lì a studiare. A prendere provvedimenti. A promettere. Il fatto è che, «Bibi» o non «Bibi» la situazione, a livello sociale, è un po’ sfuggita di controllo. E dietro l’angolo – anzi: domani – c’è quella richiesta palestinese che incombe al Consiglio di sicurezza dell’Onu, quella che chiede di riconoscere subito lo Stato della Palestina. Richiesta di sfuggire, anche quella, di mano.

«Vogliamo tutti vivere in una casa. Vogliamo tutti crescere dei bambini. Non vogliamo stare in un Paese che ti obblighi ad accendere un secondo o un terzo mutuo per vivere bene». Slogan. Slogan. E ancora slogan. Per quella che sarà ricordata come l’estate delle manifestazioni. E della previsione (azzeccata) del rabbino cabalista Mordechai Ganot. Correva l’ottobre 2010 e Ganot vaticinava: «Nel mese di luglio ci sarà un’invasione di meduse». Ecco, invasione è stata. Basta vedere come sono ridotte certe spiagge dalle parti di Ashdod e alcuni settori delle centrali idroelettriche.

Leonard Berberi

Standard
attualità, cultura

E l’orchestra israeliana suona Wagner. Per la prima volta

Il tabù finisce martedì 26 luglio. Dopo settant’anni di divieti e di polemiche. L’Orchestra da camera israeliana suonerà le musiche di Wagner, il compositore tedesco antisemita esaltato da Adolf Hitler e boicottato dallo Stato ebraico. Lo farà per la prima volta in Germania, a Bayreuth, nella nuova edizione del “Wagner Festival”, a pochi passi da dove riposano i resti dell’uomo la cui musica veniva trasmessa in tutti i lager mentre migliaia di uomini venivano annientati perché ebrei.

Non è stato facile arrivare a questa decisione. Le polemiche – scoppiate già a ottobre scorso – non sono mancate. E nemmeno le dichiarazioni di «disgusto» da parte dei sopravvissuti ai campi di concentramento. Molti di loro l’hanno addirittura considerata una pugnalata. «Ma è venuto il tempo di separare il pensiero di Wagner dalla sua musica», ha detto Roberto Paternostro, 54 anni, il direttore dell’orchestra, italo-austriaco di passaporto ed ebreo di religione. Paternostro sa cos’è stata Shoah: sua madre e altri parenti sono scampati ai lager nazisti. «L’ideologia antisemita wagneriana è chiaramente una cosa orribile – ha tenuto a precisare –, ma non possiamo negare che è stato un grande compositore: bisogna dividere l’uomo dalla sua arte». Ecco allora la presenza a Bayreuth. L’Orchestra da camera israeliana aprirà con il wagneriano «Idillio di Sigfrido», per passare poi a compositori ebrei: Zvi Avni, Felix Mendelsshon e Gustav Mahler.

Il divieto di suonare Wagner in Israele dura dal 1948, anno della creazione dello Stato ebraico. Anche se dieci anni prima, già la «Palestine Orchestra» (madre della Filarmonica israeliana di Tel Aviv) mise da parte gli spartiti wagneriani dopo la “Notte dei cristalli” in Germania. Da allora in Israele tv e radio di Stato non hanno mai trasmesso nulla del musicista. Del resto quest’ultimo non aveva mai nascosto l’odio verso gli ebrei. Secondo lui avevano «corrotto l’animo tedesco, la sua musica» ed erano nemici «di tutto ciò che c’è di nobile nell’animo umano». Quanto basta per un divieto in Israele. Un divieto non ufficiale, ma seguito con scrupolo da tutti. Fino a oggi.

Standard
attualità

Un ex agente Usa: “Israele bombarderà l’Iran a settembre”

Se così fosse, ci sarebbe solo da mettersi le mani nei capelli. E non solo. Dice un ex alto funzionario della Cia, Robert Baer: «Israele con ogni probabilità attaccherà l’Iran a settembre, prima del voto Onu sul riconoscimento dello stato palestinese sollecitato dall’Anp con un ricorso». Boom!

Il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, secondo Baer, avrebbe già deciso il modus operandi. Ora, Baer non è uno sprovveduto. Ha vissuto in Medio Oriente – e ci ha lavorato – per oltre vent’anni. E la cosa che allarma di più è che ha deciso di fare questa rivelazione da una radio locale statunitense, Kpfk, dalle parti di Losa Angeles. Perché poi, alla fine, gli Usa c’entrano eccome nel conflitto paventato.

Dice l’ex 007, infatti, che l’intenzione israeliana è quella «di coinvolgere nel conflitto gli Usa». E quindi, proprio per questo, «al Pentagono c’è già un ordine di allerta di preparare la guerra con l’Iran». Secondo Baer, Israele sferrerà il suo attacco contro l’impianto nucleare di Natanz, nella regione di Isfahan, e contro «altre due strutture».

A quel punto, ha proseguito, Teheran risponderà «colpendo dove può, ovvero a Bassora o a Baghdad». In Iraq. «Abbiamo già cominciato a individuare gli obiettivi iraniani in Iraq e intorno al confine», ha spiegato l’agente segreto. Precisando una cosa: «si tratterà di una guerra regionale». Già.

Standard