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L’Intifada dei coltelli

Otto morti – ebrei, israeliani – finora. Quarantaquattro arabi e palestinesi deceduti. Centinaia di feriti. Un ottobre così complicato non si vedeva da tempo. Dal 2000, da quando scoppiò la Seconda Intifada. Questa, per molti, è un’altra Intifada. L’Intifada dei coltelli. “Falafel Cafè” offre questa mappa-infografica aggiornata sulle vittime israeliane. Nella selezione vengono inserite le aggressioni nei confronti di civili che comportano il decesso di almeno una persona: cliccate ogni pallinea – è anche possibile ingrandire la cartina – per leggere nomi e storie delle persone uccise (l.b.)

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Una domenica a Gerusalemme sulla Spianata delle Moschee

Un arabo si prepara a lanciare una pietra contro la polizia israeliana sulla Spianata della Moschee di Gerusalemme, domenica 27 settembre 2015 (fermo immagine da Polizia israeliana/Falafel Cafè)

Un arabo si prepara a lanciare una pietra contro la polizia israeliana sulla Spianata della Moschee di Gerusalemme, domenica 27 settembre 2015 (fermo immagine da Polizia israeliana/Falafel Cafè)

Slogan e proteste. Ma anche – e soprattutto – sassi grandi e piccoli, bottiglie incendiarie, pezzi di edifici centenari staccati da usare come arma, fuochi d’artificio. Tutti, o quasi, mascherati. Tutti contro le autorità israeliane. È stata una domenica convulsa al Monte del Tempio, il luogo sacro per i musulmani e anche per gli ebrei. Centinaia di arabi e palestinesi si sono scagliati contro la polizia alla chiusura del quarto giorno dell’Eid al-Adha (festa islamica) e alla vigilia dell’inizio di Sukkot, la celebrazione ebraica che dura una settimana.

Secondo le autorità israeliane – che hanno contenuto le violenze dopo alcuni minuti – nessun membro del Waqf, l’autorità musulmana che sovrintende il Monte del Tempio, avrebbe mosso un dito per fermare le violenze. Ecco le immagini – fornite dalla polizia di Gerusalemme – di quello che è successo.

© Leonard Berberi

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Quella frase (inedita) di Rabin sui coloni: “Sono il cancro di questo Paese”

Yitzhak Rabin e la moglie Leah in un fermo immagine del film-documentario sull'ex primo ministro israeliano (frame da Canale 2)

Yitzhak Rabin e la moglie Leah in un fermo immagine del film-documentario sull’ex primo ministro israeliano (frame da Canale 2)

Dice che il nuovo movimento dei coloni «è come un cancro». Che gli insediamenti sono «scoregge». Aggiunge che se Israele annette anche la popolazione araba in Cisgiordania rischia di diventare uno «Stato apartheid». Guarda al futuro del Paese. E la sensazione è che, alla fine, un po’ aveva previsto già tutto. Tutto, tranne il suo assassinio. Forse.

È un Yitzhak Rabin inedito. Poco politico, molto intellettuale e storico. Parole registrate in un’intervista del 1976 e mai resa pubblica perché si trattava di una chiacchierata «off the records». Fino ad ora. Quando – come anticipato dall’emittente tv locale Canale 2 – quelle frasi sono state inserite in «Rabin – Con le sue stesse parole», un film-documentario di Erez Laufer che sarà proiettato al prossimo Haifa International film festival e che arriva a poche settimane dal 4 novembre, giorno del ventennale della sua morte per mano di un estremista di destra nel cuore di Tel Aviv.

Yitzhak Rabin (nel tondo) in un video ripreso da un turista americano nel 1949

Yitzhak Rabin (nel tondo) in un video ripreso da un turista americano nel 1949 (frame da Canale 2)

Il lungometraggio inizia con delle immagini molto mosse, poco nitide. Risalgono al 1949 e si vede un giovanissimo Rabin mentre conversa con alcuni turisti americani. E americano – e turista – è anche l’autore di quel filmato, inedito pure quello. Lo Stato d’Israele è agli albori e Rabin è un ufficiale nel neonato Commando meridionale. «Non c’è nulla di più difficile per un uomo che parlare di sé, ma è vero che sono una persona chiusa», risponde Rabin pochi minuti più avanti a chi gli chiede del suo carattere introverso.

Poi ecco le frasi sugli insediamenti ebraici in Cisgiordania. Frasi che Rabin chiede di non usare, «perché queste cose non le dirò certo pubblicamente». Si lamenta del movimento dei coloni, Rabin. Parla di tentativo – deliberato – di chi è addirittura venuto dagli Usa in nome della religione «di far scontrare il governo israeliano con attivisti che imperversano qua e là» nelle colline oltre Gerusalemme. «Da un punto di vista storico una persona potrebbe chiedersi perché lo Stato d’Israele si sia fatto trascinare nel 1976 in discussioni mistiche su qualche schifoso e insignificante posto sul quale qualcuno ha deciso di legare l’esistenza stessa del nostro Stato. È incredibile».

«Quello che vedo in Gush Emunim (il “Blocco dei fedeli”, i fondatori del movimento dei coloni, ndr) è uno dei fenomeni più pericolosi dello Stato d’Israele», confida ancora Rabin. «Eppoi cos’è un insediamento? Che lotta è mai questa? Quali sono i suoi metodi? L’insediamento è una scoreggia». Ecco perché «Gush Emunim non è un movimento di coloni. È paragonabile a un cancro nel tessuto della società democratica d’Israele. È una realtà che s’impossessa della legge».

© Leonard Berberi

L’ultimo discorso di Rabin prima di essere ucciso

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