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Gli Usa, Israele e quel rapporto “speciale” con i mujaheddin iraniani

Operazioni segrete e spettacolari. Alleanze strategiche con i mujaheddin. Ingresso nei paesi nemici con passaporti americani e britannici. Telefonate roventi da un capo all’altro del mondo. Minacce. Piccole ritorsioni. Tentativi per far saltare la copertura agli agenti in servizio. C’è ormai di tutto nel lungo e corposo dossier Israele-Iran. Con storie e personaggi ed enigmi che ormai si estendono da Washington a Baku, da Londra a Gerusalemme, da Teheran a Parigi.

Insomma, materiale per un film. E che film. Soltanto che qui, all’ombra si muovono personaggi mai sentiti prima, sigle quasi sconosciute al pubblico occidentale. Vengono fuori accordi «al limite» da parte israeliana pura di sconfiggere il «Satana» Iran, pur di scrollarsi di dosso quello che, oggi, appare come il pericolo più grande per l’esistenza stessa dello Stato ebraico.

Ma prima di entrare nel dettaglio, una precisazione. Non è facile, per chi segue queste vicende per lavoro (e passione), trovare un filo conduttore logico, in modo da poter scartare quella che è una «polpetta avvelenata» da quella che non lo è. Ora più che mai, c’è in giro tutta una rete di personaggi, appartenenti a questo o a quel istituto di analisi geopolitica, che in realtà è qualcuno che ha più di un piede in qualche ufficio locale dei servizi segreti. Personaggi che, tutto d’un tratto, si fanno prendere dalla voglia di dire qualcosa – meglio: di sussurrare – anche al più giovane giornalista. Tutto questo per anticiparvi che più i venti di guerra si faranno potenti, più sentirete/leggere tutto e il contrario di tutto. Stavolta non si farà eccezione.

E allora. Il materiale per un film, dicevamo. La pellicola, per rimanere in tema, potremmo farla partire il 12 novembre 2011. Quando Modarres (o Sajad, secondo altri, nella foto sopra), una base militare iraniana viene distrutta da una (o due) esplosioni che scuotono anche la capitale Teheran, distante circa 40 chilometri. Muoiono, ufficialmente, 17 soldati. Anche se un’altra contabilità di vittime militari ne registra 40. Tra questi, c’è sicuramente il generale Hassan Tehrani Moqaddam, direttore della struttura e personaggio chiave della corsa agli armamenti della Repubblica islamica.

Quella di Modarres-Sajad non è una base qualsiasi. Secondo l’Intelligence israeliana qui si trova la maggior parte dei missili Shehaab-3 (“Meteora”, in persiano), quelli in grado di percorrere fino a 1.280-1.300 chilometri e quindi di minacciare il territorio ebraico, e anche i terra-terra Zelzal-2 (“Terremoto”). Sempre qui si troverebbe anche il laboratorio che ha dato vita agli Shehaab-4, missili ancora più potenti, in grado – secondo la difesa iraniana – «di arrivare nello spazio». Potenzialmente, in grado di raggiungere qualsiasi nazione sulla Terra.

Non era mai successo prima una cosa del genere a una base militare iraniana così sorvegliata. C’è chi ha parlato di «incidente», ma indagini successive dimostrano che a provocare l’esplosione sarebbero stati i membri del Mek in collaborazione con il Mossad. E qui, per la prima volta, entra in scena la formazione paramilitare «Mujahadeen al-Khalq» (Mek). Si tratta di una organizzazione di esuli iraniani che si batte contro le Guardie della rivoluzione che governano nel Paese. Esistono dal 1965 e hanno due basi operative: Parigi (sede “diplomatica”) e Camp Ashraf, in Iraq, la sede “militare”, dove si formano squadriglie, dove si allenano, dove pianificano le mosse anti-Teheran. Dal 2001, il gruppo ha rinunciato alla violenza e s’è unito al Consiglio nazionale di resistenza iraniana. Ma non hai mai di fatto smesso con le armi, per ora con un solo obiettivo: riportare la Repubblica islamica nelle mani del popolo.

Ecco, dice più d’uno, che «il lavoro fatto a Modarres-Sajad è quello tipico del Mek, stavolta con un appoggio logistico non indifferente del Mossad». La voce, sempre smentita ovviamente dagl’israeliani, è stata confermata però in una recente intervista esclusiva a Brian Williams, sulla Nbc americana, da due alti funzionari militari Usa. Insomma, sostengono le fonti che sì, «il servizio segreto israeliano ha reclutato, preparato, dotato e diretto una campagna di attacchi terroristici domestici in Iran, contro esponenti del programma nucleare locale e ricorrendo al “personale” del Mek». Gli stessi esponenti dei Mujahadeen al-Khalq sarebbero attivi anche negli omicidi mirati, gli autori materiali delle esplosioni nelle auto e nelle moto guidate da scienziati di Teheran.

La collaborazione Mossad-Mek pare vada avanti da mesi. Gli Usa hanno ammesso di sapere della collaborazione, ma hanno anche precisato di non avere nulla a che fare con questa scia di sangue. Nemmeno gl’iraniani si mostrano molto sorpresi. «Sappiamo che Israele sta pagando i mujaheddin e che alcuni di questi stanno passando informazioni agli agenti ebrei. Sappiamo anche che il Mossad sta addestrando molti membri del Mek».

In realtà, come dimostrato dalle foto e dai molti convegni fatti negli Stati Uniti, quelli del Mek – pur essendo ufficialmente nella lista del terrore del Dipartimento di Stato Usa – godono di un vasto appoggio politico-diplomatico proprio tra molti americani. Basti sapere che dall’ambasciatore all’Onu John Bolton all’ex sindaco di New York, Rudolph Giuliani, dal generale Wesley Clark ad Howard Dean, decine di personaggi influenti hanno chiesto al presidente Obama di cancellare il Mek dalla lista nera.

Non solo. Già nel 2009, in un seminario chiamato “Which path for Persia?” (Quale percorso per la Persia?) a Brooking Institute fu proposto – esplicitamente – di «armare, in maniera completa, addestrare e sostenere i Mek» per favorire la loro campagna contro l’Iran. Scrisse la relazione finale del think tank americano: «Un movimento di opposizione di lunga data al regime iraniano e il resoconto degli attacchi riusciti e delle operazioni di raccolta di informazioni di intelligence contro il regime, lo rendono meritevole del sostegno degli Stati Uniti» (clicca qui per il leggere il documento completo). L’anno prima, una firma del giornalismo, Seymour Hersh, si era spinto oltre, sostenendo che «negli ultimi anni il gruppo (il Mek) ha ricevuto armi e informazioni d’intelligence, direttamente o indirettamente, dagli Usa».

Dunque, quelli del Mek non sono solo «burattini» mossi da Israele, ma anche – forse – dall’amministrazione Obama. Non sorprendono, allora, le visite «segrete» del numero uno del Mossad, Tamir Pardo, tra gennaio e febbraio di quest’anno. Secondo il «Daily Beast» Pardo sarebbe andato in America «per capire come reagirebbero gli americano di fronte a un attacco dello Stato ebraico sul suolo iraniano». Ma nello stesso tempo, gl’israeliani avrebbero anche smesso di passare informazioni riservate ai colleghi statunitensi. Certo è che nelle ultime settimane c’è un po’ di nervosismo tra Cia e Mossad: sarebbero stati scoperti altri 007 israeliani in possesso di passaporti stranieri, britannici e americani, soprattutto.

In tutto questo, l’agenzia stampa iraniana di Stato, l’Irna, ha raccontato della lavata di capo fatta all’ambasciatore dell’Azerbaigian a Teheran dopo che è venuta fuori la notizia di un passaggio fin troppo facile di agenti del Mossad dalla capitale azera all’Iran. Secondo l’Irna, «il ministro iraniano degli Esteri ha inviato una nota di protesta a Javanshir Akhundov, ambasciatore dell’Azerbaigian, chiedendo la fine immediata delle operazioni anti-iraniane del Mossad sul suolo della Repubblica islamica».

Sul piano militare due sono le novità sul fronte di Teheran. Da un lato, l’allarme lanciato dal vice ammiraglio Usa Mark Fox, comandante della flotta operativa nel Golfo Persico: «L’Iran sta preparando le imbarcazioni in modo da essere usate anche per gli attacchi suicidi». E ancora: la Repubblica islamica «ha aumentato il numero dei sottomarini (dieci, secondo l’ultima contabilità) e delle navi veloci nei pressi dello Stretto di Hormuz. Alcune di queste possono essere adattate a modalità di attacco suicida, del resto il Paese ha un vasto repertorio di mine». L’altra novità è quella relativa all’esplosione dell’auto della moglie di uno dei diplomatici israeliani all’ambasciata di Nuova Delhi, in India, e l’attentato sventato a Tbilisi – in Georgia – sempre contro la cancelleria israeliana nel Paese. Solo un ferito, per ora, ma l’allerta è al livello massimo.

Infine, il capitolo «Atarodi». Lo scorso fine gennaio uno scienziato iraniano esperto in microchip, Seyed Mojtaba Atarodi (foto sopra), 54 anni, è stato arrestato negli Usa per aver violato, secondo l’accusa, le leggi sulle esportazioni di materiale sensibile. Atarodi è professore all’Università di tecnologia Sharif, a Teheran ed è stato già arrestato a Los Angeles il 7 dicembre 2011. Ma fino ad ora le prove contro di lui, così come la vera accusa restano secretate.

© Leonard Berberi
(2 – fine)

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