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Nell’esercito israeliano un quinto dei soldati è straniero

Più della società – e del governo – poté l’esercito. Quell’ammasso di soldati giovanissimi soffocati dal caldo e dagli abiti militari e guidato da comandanti spesso spregiudicati, ma sempre più in linea con il sentimento di una nazione.

E allora. Dicono le ultime statistiche – mentre nelle periferie di Tel Aviv gli immigrati vengono sempre più emarginati – ecco, dicono le statistiche militari che il 20,2 per cento dei soldati dello Stato ebraico sono di origine straniera. La maggior parte di questi è arrivata in Israele quando aveva meno di sedici anni.

Si tratta soprattutto di ragazzi etiopi e provenienti dal Caucaso. Giovanissimi – sia uomini che donne – facilmente rintracciabili lungo le strade (desertiche) che portano da Tel Aviv verso Ashdod e Ashkelon, per arrivare fino a Beersheba, nel pieno mare sabbioso del Negev.

Le novità non finiscono qui. Sempre secondo le statistiche dell’Idf, l’esercito israeliano, negli ultimi tempi c’è stato anche un incremento notevole dei soldati di leva registrati all’anagrafe come ebrei ultraortodossi (storicamente restii a indossare la divisa): ce ne sono circa 700, ma il numero è destinato a crescere. L’altra novità riguarda la minoranza beduina: anche in questo caso l’aumento è rilevante. Se nel 2005 si registravano 345 soldati provenienti dai villaggi beduini, cinque anni dopo la cifra arriva a 492.

Non sono dati qualsiasi questi. E non indicano una maggiore propensione alla guerra. Semplicemente: dimostrano che, mentre a Gerusalemme il governo è indaffarato a creare muri piuttosto che ponti, nelle file militari la piena integrazione è ormai raggiunta. O quasi.

Leonard Berberi

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