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Nono giorno di ricerche, ma i ragazzi rapiti non si trovano

Centinaia di soldati israeliani per le vie di Hebron, in Cisgiordania, alla ricerca dei tre giovani rapiti (foto di Hazem Bader/Afp)

Centinaia di soldati israeliani per le vie di Hebron, in Cisgiordania, alla ricerca dei tre giovani rapiti (foto di Hazem Bader/Afp)

Per ora è un girare a vuoto. E un continuo arrestare. Nella speranza che, almeno uno dei fermati, sappia qualcosa, abbia sentito o intuito, dia anche una minima indicazione. Perché a nove giorni dalla scomparsa la più grande caccia all’uomo – anzi: agli uomini – non ha portato a casa, non ancora, i sedicenni Naftali Frankel, Gil-ad Shaar ed Eyal Yifrach, di tre anni più grande.

L’ultima volta i tre sono stati visti la sera di giovedì 12 giugno nei pressi di Gush Etzion, uno degli insediamenti più grandi in Cisgiordania. Da allora: blitz nella zona di Hebron, arresti, diversi gruppi paramilitari palestinesi che rivendicano il sequestro. L’esercito israeliano ha chiesto sabato mattina anche l’intervento dei pompieri e delle unità specializzate nella ricerca e nel recupero delle persone in cave, sotterranei, zone difficili da raggiungere.

Ricerche notturne dei soldati israeliani anche per le vie di Ramallah, la città più importante della Cisgiordania (foto di Abbas Moma/Afp)

Ricerche notturne dei soldati israeliani anche per le vie di Ramallah, la città più importante della Cisgiordania (foto di Abbas Moma/Afp)

Si cerca ovunque. Attorno a Hebron. Dove una zona a nord è stata dichiarata off limits. Nel sud della Cisgiordania. La scorsa notte sono state perquisite 140 case e arrestate una decina di persone. «Con gli ultimi interventi dell’esercito siamo a 330 palestinesi fermati dall’inizio dell’operazione», hanno calcolato dall’ufficio stampa dell’Idf. Mentre un sessantenne, secondo la Radio militare israeliana, è morto per un attacco cardiaco mentre cercava di opporsi alla perquisizione della sua casa.

«Sappiamo che i nostri ragazzi e i loro rapitori sono ancora nella West Bank», ha dichiarato un alto ufficiale israeliano alla tv locale Canale 10. «Hanno tentato di portarli prima in Giordania, poi nella Striscia di Gaza, quindi in Egitto, nel Sinai, ma non ce l’hanno fatta». Insomma, il cerchio si stringe. Anche se mancano ancora molte, troppe cose. Una su tutte: gli autori. Bisogna capire prima chi siano. Cosa vogliano. Perché l’abbiano fatto. E non è facile districarsi nelle vie di una terra brulla che incentiva soltanto la confusione.

Un soldato israeliano dell'Idf cammina in una via di Hebron alla ricerca delle telecamere di sicurezza installate nei negozi palestinesi per capire se è possibile riuscire a recuperare i filmati e trovare tracce dei tre giovanissimi rapiti (foto di Majdi Mohammed/Ap)

Un soldato israeliano dell’Idf cammina in una via di Hebron alla ricerca delle telecamere di sicurezza installate nei negozi palestinesi per capire se è possibile riuscire a recuperare i filmati e trovare tracce dei tre giovanissimi rapiti (foto di Majdi Mohammed/Ap)

Il gesto è, con ogni evidenza, anche politico. Perché per un Benjamin Netanyahu, primo ministro d’Israele, che attacca Hamas e dichiara di ritenere responsabili per il destino dei tre ragazzi i vertici dell’Autorità nazionale palestinese, ecco che dall’altra parte c’è proprio il presidente dell’Anp, Mahmoud Abbas, che condanna il rapimento, chiede di liberarli e mette in campo tutti i suoi uomini per aiutare lo Stato ebraico nelle operazioni di ricerca.

Da Gaza City la replica non s’è però fatta attendere. «Gl’israeliani non pensino di spaventarci o di annichilirci con queste operazioni. La nostra popolarità, anzi, non potrà che aumentare dopo questi blitz», ha attaccato Sami Abu Zuheiri, portavoce di Hamas. Ma anche da Gerusalemme non mancano le critiche all’operazione. «Quella dell’esercito nella West Bank è un atto di puro terrorismo», ha commentato Hanin Zoabi, deputato al parlamento israeliano con il partito arabo “Balad”, a una trasmissione tv su Canale 2.

Alla fine, in sottofondo, restano loro: i genitori dei tre giovanissimi. Venerdì sono stati ricevuti nella residenza ufficiale di Netanyahu (sopra, il video). Il primo ministro li ha accolti con la moglie Sarah. Li ha rincuorati. E ha fatto loro una promessa, l’unica che si può fare a mamme e papà che da un momento all’altro non hanno visto i figli aprire la porta di casa per andare a dormire. «Li riporterò tra le vostre braccia, sani e salvi», ha detto Netanyahu. «Gli autori di questo scempio la pagheranno cara. Li rincorreremo casa per casa, li staneremo e li puniremo». E mentre glielo diceva si capiva che sul destino di Naftali, Eyal e Gil-ad si gioca anche quello – politico, umano e storico – di Netanyahu.

© Leonard Berberi

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2 risposte a "Nono giorno di ricerche, ma i ragazzi rapiti non si trovano"

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