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La Procura generale: “Gli agenti dell’aeroporto Ben Gurion possono controllare le email dei turisti”

Tu chiamala, se vuoi, violazione della corrispondenza privata. E della privacy. Perché poi, alla fine, il discorso non cambia. Ai controlli del Ben Gurion di Tel Aviv possono fare anche questo: controllarti la casella di posta elettronica. Per motivi di sicurezza, ovvio. Ma più di qualcuno si chiede se questo, alla lunga, non finisca per scoraggiare soprattutto i giovani turisti. E se non porti a un’ulteriore risentimento nei confronti dello Stato ebraico.

E allora. Dopo ripetuti casi di turisti a cui è stato chiesto di scandagliare anche l’indirizzo email, l’ufficio della Procura generale d’Israele ha detto la sua sulla questione. E ha deciso – scrive il free press Israel haYom – che «ai cittadini stranieri che decidono di visitare Io Stato ebraico i nostri agenti possono chiedere di controllare la posta elettronica una volta atterrati in aeroporto». «Crescono sempre di più le minacce nei nostri confronti da parte degli stranieri».

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La decisione arriva dopo la denuncia dell’Association for civil rights in Israel (Acri) e la richiesta di smetterla con questa pratica «invasiva». «Il controllo dell’account email deve essere soltanto una cosa eccezionale e soltanto dopo che gli agenti dello Shin Bet hanno dei chiari sospetti contro quella persona», hanno replicato gli attivisti per le liberà civili. «Entrare nel pc e nella posta di qualcun altro costituisce una grave violazione della privacy e della dignità umana», ha aggiunto Lila Margalit, legale dell’Acri. Giudizi che fanno seguito alla vicenda di Sandra Tamari, 42 anni, cittadina americana, attivista e con nonni palestinesi. Alla Tamari, al Ben Gurion di Tel Aviv è stato chiesto lo scorso giugno di aprire la sua casella di posta elettronica. Dopo alcune ore di controlli, le autorità di frontiera hanno detto no: la donna non è stata fatta entrare.

«Ma la sicurezza israeliana può chiedere soltanto di controllare la posta, non la password per entrare», chiarisce la Procura generale. «È il titolare dell’account che apre la casella e a quel punto gli agenti possono cercare eventuali parole o contenuti minacciosi per l’incolumità del Paese». Il visitatore può rifiutarsi di far vedere le mail agli uomini dello Shin Bet? «Certo – sostiene la Procura generale –, ma la sicurezza del Ben Gurion Airport può a quel punto negare l’ingresso nel Paese. E’ lei che decide chi può entrare e chi no. E in certi casi, quando sospetta qualcosa, può anche chiedere di leggere la posta del visitatore». I legali presso la presidenza del Consiglio dei ministri di Gerusalemme ricordano che questa decisione è supportata dalla legge d’ingresso del 1952 che stabilisce la mancanza di esplicito diritto dello straniero ad entrare in Israele.

© Leonard Berberi

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Gli addetti Onu rapiti, la minaccia di Al Qaeda, l’esercito di Assad in fuga. L’allerta di Israele per il Golan

Un miliziano del Free Syrian Army di fronte a 17 soldati lealisti di Assad (fermo immagine da YouTube / Falafel Cafè)

Un miliziano del Free Syrian Army di fronte a 17 soldati lealisti di Assad fermati nel Golan (fermo immagine da YouTube / Falafel Cafè)

«Ma cosa s’aspettavano di diverso? Sono giorni che diciamo di fare attenzione al fronte siriano del Golan perché l’esercito lealista ha abbandonato tutte le postazioni lasciandole in mano ai ribelli». C’è tanta amarezza nei vertici dell’esercito israeliano. E anche un po’ di rabbia. «Solo ora che hanno rapito venti dipendenti Onu (tutti di nazionalità filippina) si accorgono che qui c’è un problema», sostiene un portavoce dell’Idf che chiede l’anonimato. «Un problema – continua – che oggi riguarda noi, domani tutto l’Occidente: subito dopo il reticolato abbiamo notato diversi affiliati di Al Qaeda».

Dopo anni di sostanziale tranquillità Israele ritrova un nuovo fronte caldo. Caldissimo. Che, per ora, è sorvegliata con droni e postazioni militari. Senza escludere, un giorno, interventi più mirati. Come gli attacchi circoscritti con caccia o aggeggi radiocomandati. O, addirittura, incursioni via terra della durata di poche ore. Tutti scenari soltanto immaginati fino a pochi mesi fa. Ma diventati veri e propri piani d’intervento dallo scorso dicembre. Da quando qualcosa, sul fronte siriano del Golan, ha iniziato a muoversi.

Dalla fine di gennaio l’esercito lealista di Bashar Assad ha iniziato ad abbandonare le postazioni sull’altura contesa tra Damasco e Gerusalemme. Cosa mai successa da quando le Nazioni Unite, per evitare nuovi scontri tra i due Paesi, crearono una zona-cuscinetto e piazzarono i loro caschi blu. I ribelli hanno preso possesso della maggior parte dell’area. Villaggi come Jubata al-Khashab, Bir Ajam, Khan Arnabeh e Hader sono stati conquistati in pochi giorni. Tanto da spingere Assad a bombardare quelle zone nella speranza, per ora vana, di riprendersi l’area abbandonata definitivamente dai lealisti tra il 18 e il 24 febbraio scorso. L’unica unità di Assad, da allora, si trova alle porte d’ingresso del Paese nella frontiera di Quneitra. I miliziani, per ora, non vogliono gestire quella zona per evitare eventuali frizioni con l’esercito israeliano.

L’allarme ufficiale viene lanciato da Gerusalemme il 24 febbraio. Anche perché, nel frattempo, Carl Campeau – funzionario canadese delle Nazioni Unite – sparisce nel nulla dalla base United Nations Disengagement Observer Force. E perché i soldati israeliani, impegnati nel servizio di pattugliamento, iniziano a raccontare di aver visto uomini armati che sembravano interessati più a spiare le mosse dell’altra parte della frontiera che gli uomini di Assad. Voci confermate anche da alcuni video pubblicati su YouTube (video sopra). E che fanno temere a molti si tratti di affiliati ad Al Qaeda.

«Il periodo di tranquillità lungo il confine con la Siria sta finendo pian piano», hanno spiegato in un servizio tv gli analisti di Canale 10. «Israele potrebbe essere chiamata presto a usare le armi per fermare le minacce degli estremisti islamici che si sono fatti largo in un Paese devastato dalla guerra civile».

© Leonard Berberi

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Il premier Netanyahu: il futuro d’Israele è dietro le barriere. “Oltre c’è il terrorismo”

Muri. E barriere. E reti. A nord. A est. A sud. Tranne a ovest, ché la protezione c’è già: si chiama mar Mediterraneo. «Ma che razza di Paese lasceremo in eredità ai nostri figli?», si stanno chiedendo in molti ora. A due settimane dalle elezioni. A quindici giorni da un appuntamento decisamente più importante di quanto non si voglia far credere.

Perché, almeno a sentire il probabile vincitore del 22 gennaio prossimo, il futuro non è poi così roseo. Ma, anzi, fatto di cemento, reticolati, divise e congegni elettronici in grado di intercettare oggetti volanti indesiderati e – soprattutto – esplosivi.

Dice il premier uscente Benjamin Netanyahu – candidato con un listone di destra formato dal suo partito (Likud) e da quegli oltranzisti di Yisrael Beitenu (dell’ex ministro degli Esteri Avigdor Lieberman) – ecco, dice Netanyahu che il futuro dello Stato ebraico è ormai segnato: il Paese si deve difendere, si deve isolare dal resto del Medio oriente, deve prevenire le instabilità politiche dei vicini arabi e dei vuoti di potere, del Jihad islamico e dei razzi di Hamas, Hezbollah, Teheran e – chissà – del Cairo, nel caso a quegli inaffidabili dei Fratelli musulmani venisse voglia di incendiare l’area.

Un soldato israeliano di pattuglia lungo il confine con la Siria nelle Alture del Golan, nei pressi del villaggio di Majdal Shams (foto di Ronen Zvulun/Reuters)

Un soldato israeliano di pattuglia lungo il confine con la Siria nelle Alture del Golan, nei pressi del villaggio di Majdal Shams (foto di Ronen Zvulun/Reuters)

E, proprio per evitare tutto questo, c’è una sola opzione, secondo il primo ministro dello Stato ebraico: circondare il Paese di barriere. Perché è il futuro degl’israeliani. Dal Golan al Sinai. Da Rosh HaNikra, al confine con il Libano, a Tsofar, ultimo avamposto prima della Giordania. Tirare su tutto: barriere, blocchi di cemento, torri di controllo, pattugliamenti 24 ore su 24, dispositivi dell’Iron Dome – la cupola d’acciaio – per difendere i cieli israeliani da razzi sparati per errore o per dolo.

«Ma Netanyahu è in preda a visioni messianiche?», s’è chiesto Yuval Diskin. Non un politico. Nemmeno un candidato. Ma l’ex numero uno dello Shin Bet, l’agenzia che si occupa della sicurezza interna. «Sono semplicemente una persona che mantiene i piedi saldamente a terra», gli ha replicato il primo ministro. «E lo dimostra il fatto che due anni fa, quando tutti erano entusiasti, ero tra i pochi a dire che la “Primavera araba” sarebbe stata anche una fonte di problemi per lo Stato ebraico».

Al netto delle dichiarazioni politiche, restano le operazioni sul campo. Pochi giorni fa Netanyahu ha visitato il confine che corre lungo il Sinai egiziano. S’è complimentato per aver trasformato l’area da «deserto aperto e pieno d’insidie» a terra moderna «con una solida barriera di 230 chilometri di lunghezza e 5 d’altezza». La barriera, a dire il vero, era stata progettata per bloccare i migranti in arrivo dall’Africa. Ma ora, dopo la caduta di Mubarak, serve anche a ostacolare eventuali infiltrazioni di terroristi islamici.

La rete alta 5 metri che separa il Sinai egiziano dal territorio israeliano (foto di Moshe Milner  /GPO / FLASH90)

La rete alta 5 metri che separa il Sinai egiziano dal territorio israeliano (foto di Moshe Milner /GPO / FLASH90)

Una realtà tanto consolidata da spingere lo stesso Netanyahu a spiegare che il prossimo passo è quello del Golan. E non solo. «L’obiettivo del nuovo governo – ha detto il premier – sarà quello di proteggere l’intero territorio nazionale con ”Cupole di ferro”, oltre a completare la costruzione della Barriera di sicurezza anche sul Golan». Il perché è presto spiegato. Assad sta perdendo pezzi. Ampie zone della Siria non sono più controllate da Damasco. E il rischio di infiltrazioni e di attacchi terroristici è così cresciuto. Da qui la necessità di sostituire i vecchi reticolati di confine con una nuova e moderna barriera.

Secondo i giornali locali sarebbero stati completati già i primi quattro chilometri. Sarebbero visibili attorno alla città drusa di Majdal Shams, da dove si può chiaramente vedere il confine con la Siria. Se i calcoli della stampa sono giusti, vuol dire che restano da costruire altri 54 chilometri. E poi l’isolamento – volontario o imposto – sarà completato.

© Leonard Berberi

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