Boutade? Provocazione? O, più semplicemente, nuovo sintomo di una società che si sposta sempre più a destra? Perché, più che di rondini, in questo inizio primavera in Israele si parla soprattutto di ronde. Sì, quelle ronde. Quelle leghiste, tanto per fare un esempio a noi vicino. Ronde che fanno male. Alla società. Alla cultura. Alla tranquillità. Al futuro. Ronde che allarmano.
Dice l’estrema destra nazionalista israeliana che nei sobborghi di Tel Aviv si sta preparando a entrare in azione con l’intenzione di dar vita a iniziative popolari di cosiddetta «autodifesa» contro la minacce attribuite alla crescente presenza di immigrati legali o clandestini. Nome della ronda: «Team Marzel».
La novità l’hanno raccontata per primi i giornalisti dell’edizione online dello Yedioth Ahronoth, il più diffuso giornale d’Israele. Mentre la polizia telavivina parla di «pericolosa provocazione». «È una strumentalizzazione politica da fermare», ha detto un dirigente di polizia esperto di immigrazione. «Questi sono gruppi di provocatori il cui unico scopo è gettare benzina sul fuoco».
L’idea della ronda è venuta a un deputato dell’Unione Nazionale, un partito d’estrema destra che si ispira all’eredità del famigerato movimento Kach, fondato dal defunto rabbino Meir Kahane e poi disciolto in Israele – sull’onda del massacro di fedeli musulmani palestinesi a Hebron (Cisgiordania) da uno dei suoi militanti, il colono Baruch Goldstein – con l’accusa di istigazione alla violenza e all’odio razziale.
La realizzazione è stata quindi affidata al controverso tribuno Baruch Marzel. Che non ha perso tempo e ha già costituito un primo contingente di 200 vigilantes – sia uomini che donne – tutti addestrati alle arti marziali e forniti di magliette nere e lacrimogeni.
Marzel ha detto di aver preso a modello le squadre di «autodifesa ebraica» reclutate a suo tempo a New York dal rabbino Kahane fra i giovani attivisti del Kach. Uno dei volontari, interpellato dal giornale, ha giustificato l’iniziativa sostenendo che gli ebrei – stragrande maggioranza a Tel Aviv – «si sentono ormai in pericolo» in certe aree. E ha additato casi di presunte aggressioni di «immigrati sudanesi», ma anche di arabo-israeliani (che però non sono immigrati, ma cittadini dello Stato ebraico).
© Leonard Berberi